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Pavia criminale (più di quel che pare): il rapporto del Viminale 2025 (dati 2024)

In aumento la criminalità anche a Pavia (foto da Ai) I dati diffusi ieri dal Viminale sulla situazione della criminalità in Italia sono preoccupanti. Come vedremo dalla sintesi più avanti, sono dati in aumento. Ma quello che sorprende, è che la provincia di Pavia abbia il rapporto peggiore tra numero di abitanti/numero di reati in Lombardia: risulta infatti 21esima tra le province italiane la peggiore tra quelle lombarde (Milano esclusa) e seconda in classifica tra le province lombarde per crimini violenti. Complessivamente, rispetto al 2023 (i dati sono del 2024), l’aumento dell’indice di criminalità è stato dell’1,38%. Da segnalare la settima posizione in Italia, brutto risultato, per le denunce di danneggiamenti.
Ecco la tabella elaborata grazie al sito de Il Sole 24 Ore:

La tabella de Il Sole 24 Ore sulla provincia di Pavia Per il resto, nel 2023 i capoluoghi lombardi presentavano valori significativamente più elevati di criminalità rispetto alle rispettive province — Milano domina per quasi tutte le tipologie di reato, con l’eccezione dei furti in abitazione, dove prevale Bergamo.
Milano: indice di criminalità appropriativa nel 2023 di 53,21 (capoluogo) e 19,16 (provincia); per la criminalità violenta: 39,09 nel capoluogo e 15,92 nella provincia.
Sondrio è la provincia con i valori più bassi (furti: 5,54; reati violenti: capoluogo 33,68; provincia 10,05). Monza risulta la più sicura come indice di criminalità violenta (17,77).
Province con indici più alti di criminalità violenta: Brescia (16,72), Milano (15,92), Pavia (15,31), Varese (13,94). Per città: Brescia (34,9), Bergamo (34,03), Mantova (32,06), Como (28,92), Cremona (27,69).
Effetto covid: tra 2011 e 2020 tendenza decrescente ovunque, minimo nel 2020 per restrizioni. Tra 2020 e 2023 nuova crescita dovuta alla ripresa delle attività sociali ed economiche.
Questa la classifica con la 21esima posizione di Pavia:

La tabella nazionale sempre da Il Sole 24 Ore -
In ginocchio da te (alla mostra del Broletto ci vuole la vista di Superman)

Le targhe informative: ma ci voleva tanto a posizionarle un po’ più in alto? Ormai è una cattiva abitudine. Con il passare degli anni, anche alla World Press Photo, le targhette con le indicazioni relative alle singole fotografie e/o all’autore hanno caratteri sempre più piccoli. Così, appunto, è capitato a Lodi durante il Festival della fotografia etica 2025, così abbiamo (clamorosamente) notato alla pur interessante e ben realizzata mostra La Forma del Ritratto che si può ammirare al Broletto di Pavia (dal giovedì alla domenica, dalle ore 15 alle ore 19, con ingresso libero). Le targhette sono, occhio e croce, all’altezza del gomito o dell’avambraccio di una persona alta intorno al metro e settanta centimetri, e costringono ad abbassarsi quasi di novanta gradi. Poi, arrivati alla targhetta, ci vuole una super vista per leggere il testo, peraltro in doppio formato, il secondo quasi minuscolo. Io sono alto un metro e ottantatrè, e proprio ho faticato ad arrivare alla targhetta. Non parliamo della difficoltà di lettura.
Ora, le statistiche ci dicono che: 1) l’età media degli italiani è di quarantasei anni; 2) l’altezza media in Italia è di circa un metro e settantasette per gli uomini e di un metro e sessantaquattro per le donne; e infine, quasi otto italiani su dieci soffrono di disturbi visivi come miopia e presbiopia; ecco, di fronte a tutto questo, cosa accidenti ci voleva a posizionare le targhette più in alto e scegliere un carattere più grande? Le mostre non basta farle, bisogna curarle in tutti gli aspetti. Perché, è noto, il diavolo sta nei dettagli.
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Sicurezza informatica, Pavia come al solito sta peggio della media nazionale

Pavia messa male per la cyber security (foto da Ai) I dati della ricerca pubblicata da I-Com mostrano un’Italia a due facce: da un lato in ottima posizione (rispetto alla media europea) sulla creazione delle reti, quindi sul fronte infrastrutturale; dall’altro, molto ma molto indietro sulla digitalizzazione, in particolare delle piccole e medie imprese. Sul terreno delle competenze digitali e della digitalizzazione delle imprese – sintetizza un articolo de La Repubblica – il ritardo diventa macroscopico. Il report calcola che, agli attuali ritmi, l’Italia raggiungerà il target europeo di PMI digitalizzate solo nel 2152 e quello sulle competenze digitali di base nel 2481: una distanza che fotografa con chiarezza la sfida ancora aperta. Oggi solo il 27,2% delle imprese italiane è pienamente digitalizzato (contro una media UE del 34,3%) e appena il 17,9% offre corsi di formazione ICT ai propri dipendenti. Gli specialisti ICT rappresentano il 4% dell’occupazione totale, la metà dell’obiettivo europeo. Nel frattempo, la popolazione procede a passo lentissimo: appena +0,2% nel 2024 per le competenze di base, segno che il Paese non ha ancora trovato la chiave per trasformare l’offerta tecnologica in capacità diffusa”.
Sicurezza informatica
Anche sul fronte della protezione dei dati digitali, che a volte sono fondamentali per le aziende, persino per la loro sopravvivenza, l’Italia e la provincia di Pavia hanno i loro problemi. Questo dato emerge leggendo il Rapporto Nazionale PID Cyber Check 2025. Ecco i dati che riguardano la provincia di Pavia:
- Numero aziende coinvolte: 2.928 imprese italiane hanno partecipato all’indagine, incluse numerose PMI di Pavia e Lombardia.
- Settori e tecnologie diffuse a Pavia:
- Maggioranza di PMI, spesso attive in manifattura, servizi, commercio e filiera sanitaria.
- Alta penetrazione di dispositivi IoT, server aziendali e utilizzo di servizi cloud.
- Misure di sicurezza e consapevolezza:
- Solo il ~38% delle aziende pavesi dichiara di avere politiche di sicurezza formalmente definite.
- Solo il 17% possiede un responsabile ufficiale della sicurezza informatica (molto inferiore alla media nazionale del 25%).
- Il 52% delle aziende si affida a backup periodici (in linea col dato regionale), ma solo il 32% effettua test periodici dei backup stessi.
- Gestione password e accessi:
- Solo una minoranza usa autenticazione a due fattori (18%).
- Le politiche di gestione password sono spesso deboli: solo il 27% adotta l’obbligo di cambio regolare e complessità minima.
- Aggiornamento sistemi:
- Il 44% delle aziende aggiorna software e sistemi “solo quando necessario” invece che sistematicamente, aumento del rischio exploit.
- Incidenti più frequenti:
- In Pavia, le tipologie principali di attacco dichiarate sono phishing/social engineering, malware e violazioni su dispositivi IoT come telecamere e centraline.
Confronto dati statistici: Pavia vs media nazionale
Indicatore Provincia di Pavia Media nazionale (PMI) Aziende con policy formali di sicurezza ~38% 49% Responsabile ufficiale IT Security 17% 25% Backup regolari 52% 54% Test periodici dei backup 32% 41% Autenticazione a due fattori (2FA) 18% 28% Gestione password avanzata 27% 35% Aggiornamento sistematico sistemi 56% aggiornano regolarmente 67% aggiornano regolarmente Incidenti segnalati (ultimi 12 mesi) Phishing, malware, IoT Phishing, malware, ransomware - Le aziende di Pavia sono sotto la media nazionale per quasi tutti gli aspetti di sicurezza organizzativa e tecnica: meno policy formali, meno referenti IT, meno procedure per password e per backup avanzato.
- L’adozione di misure tecniche quali 2FA e la gestione password avanzata è sensibilmente più bassa rispetto al quadro nazionale.
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Vino e business, le alternative possibili in Oltrepo: un rapporto che spiega molto

Enoturismo, un business anche in Oltrepo? (foto da Ai) La crisi delle cantine oltrepadane ferisce il territorio e chi ci lavora. Ma in tutta Italia, che è un paese del buon vino, fioriscono le alternative che possono generare business. Una lezione che può essere di stimolo anche per l’Oltrepo. Secondo un articolo de Il Sole 24 Ore, infatti, “per il 18% delle cantine con attività strutturate dedicate all’enoturismo, l’ospitalità genera oltre il 60% dei ricavi. Un dato che conferma come l’accoglienza sia sempre più importante per le aziende vitivinicole e che arriva da una ricerca a cura di Roberta Garibaldi (docente all’Università di Bergamo e presidente dell’Associazione italiana turismo enogastronomico) e Srm (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) presentata in occasione di “Fine, WineTourism Marketplace Italy”, prima edizione del salone interamente dedicato all’enoturismo, organizzato da Riva del Garda Fierecongressi in collaborazione con Feria del Valladolid, che nei giorni scorsi fatto incontrare oltre 70 realtà attive nel campo”.
I dati del rapporto
Da rapporto, spiega ancora Il Sole 24 Ore, – rapporto basato su un campione di 200 imprese di grandi e piccole dimensioni, costruito «per rappresentare le realtà più attive in ambito enoturistico» – emerge come, pur essendo le attività di accoglienza ancora gestite nel 63% dei casi in maniera diretta (solo il 12% ha creato una business unit dedicata e scorporata), la metà delle realtà coinvolte abbia dedicato all’accoglienza dai 5 ai 9 addetti e, nel 17%, ben oltre i dieci addetti. Questi sono dedicati non solo a visite e degustazioni, ma anche a ristorazione (36% delle aziende) e di pernottamento (30%). Tre le esperienze offerte ci sono anche eventi culturali (59%) e l’organizzazione di cerimonie (22%). Per le visite, le degustazioni e i corsi, in circa la metà dei casi il prezzo medio è compreso tra 36 e 50 euro, mentre nel 23% supera i 50 euro. Con un impatto importante in termini economici: il 49% degli intervistati dichiara un’incidenza dell’enoturismo sul profitto aziendale fino al 30%, il 33% tra il 31% e il 60%, ed il 18% oltre il 60. Rispetto al contesto internazionale, le cantine italiane valorizzano più efficacemente il paesaggio vitivinicolo, proponendo visite in vigneto come asset esperienziale (90% contro 61% nel mondo) e visite in cantina (+22%). Il 68% delle aziende ha accolto tra 100 e 2mila visitatori l’anno, mentre solo una piccola parte (5%) ha superato quota 5mila con gli stranieri che rappresentano poco più del 30% (contro il 43% in Europa). La promozione dell’offerta enoturistica passa sempre più dai social: il 90% delle aziende utilizza Facebook e l’88% Instagram; meno YouTube (17%) e TikTok (8%). Ma l’uso delle tecnologie più avanzate è ancora limitato: meno dell’1% impiega chatbot basati sull’intelligenza artificiale. Degli investimenti complessivi realizzati dalle aziende nell’ultimo triennio, solo l’1,2% è stato destinato a soluzioni basate sull’intelligenza artificiale e il 2,9% ai sistemi Crm per la gestione dell’offerta enoturistica. Sul fronte delle vendite, prevalgono i canali diretti – telefono ed e-mail – solo un quarto delle aziende si affida alle piattaforme di esperienze online e il 27% collabora con agenzie di viaggio o tour operator”.
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Pulcini maschi uccisi prima di nascere (per loro fortuna, potremmo dire)

Immagine generata dall’Ai “L’abbattimento selettivo dei pulcini maschi avviene perché, nelle linee genetiche selezionate per la produzione di uova, non sono economicamente utili. I pulcini maschi vengono eliminati poco dopo la schiusa tramite metodi come la triturazione o il gasaggio”. Decisamente crudele. Nascere maschi, tra gli uccelli da allevamento, non è esattamente un bel destino. Per fortuna, dal 2027 le cose cambieranno. Riportiamo dal sito del quotidiano La Stampa: “Dopo mesi di campagne e pressioni da parte delle associazioni animaliste, il Governo italiano ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che segna una svolta storica per l’industria delle uova. A partire dal 31 dicembre 2026, sarà vietato l’abbattimento sistematico dei pulcini maschi appena nati, una pratica che fino ad oggi portava ogni anno alla morte di circa 34 milioni di animali. Il provvedimento stabilisce le linee guida per l’introduzione delle tecnologie di sessaggio in ovo, che permettono di identificare il sesso dell’embrione prima della schiusa. Il decreto del 4 settembre 2025, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, stabilisce le modalità di adeguamento degli incubatoi italiani alle nuove tecnologie per il sessaggio in ovo e definisce le misure di trasparenza da adottare nei confronti dei consumatori.
Le aziende avranno tempo fino alla fine del 2026 per adattare strutture e macchinari e potranno comunicare in etichetta che le loro uova provengono da allevamenti che non ricorrono all’abbattimento dei pulcini maschi.
Il decreto introduce anche la possibilità di aggiungere QR code o link informativi sulle confezioni, con l’obiettivo di favorire la sensibilizzazione sul benessere animale. Le informazioni diffuse dovranno essere “veritiere e verificabili”, come precisa il testo, e in caso contrario scatteranno sanzioni”.
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Rozzano, alla faccia della cultura cia cia cia (ovvero, La kultura poi ti kura)

Rozzano capitale della cultura italiana 2028 (dal sito della candidatura) A qualcuno sarà magari sfuggito, ma Rozzano – quarantunomila abitanti a sud di Milano e a due passi da Pavia – non è solo famosa per aver dato i natali a Fedez e per essere stata in passato culla della peggio deliquenza (anche organizzata, come la ‘Ndrangheta). Ora Rozzano è sulla bocca di tutti per essersi candidata a capitale della cultura italiana 2028. Della cultura? Cioè una cittadina-dormitorio, palazzoni e piazze deserte? Beh, Rozzano non è più solo quello da parecchi anni. Le amministrazioni che si sono alternate hanno trasformato, a fatica, cemento e immigrazione in integrazione, progetti, iniziative, piste ciclabili e persino molto verde. La questione più interessante è la definizione di “cultura” che non è più – non deve essere più – solo un museo, un convegno, un monumento che ci fa dire “ohhhh”. Ma è anche “infrastruttura pubblica”. Già. Qualcosa di completamente diverso e che, per capirci subito, Pavia fatica enormemente a comprendere.
Leggiamo dal sito della candidatura, dove la frase che ci piace di più è: “Rozzano 2028 è un progetto collettivo, metropolitano, inclusivo. Non chiede un titolo per sé: propone un metodo per l’Italia.”
E dunque “Rozzano si candida a Capitale Italiana della Cultura 2028 con una visione radicale e urgente: rimettere la cultura, l’arte e la creatività al centro della vita urbana, come strumenti di partecipazione, riscatto sociale e rigenerazione collettiva. In un tempo segnato da fratture e disuguaglianze, Rozzano si propone come laboratorio metropolitano di cucitura: tra le case popolari e le aree residenziali, tra memorie operaie e nuove generazioni, tra la città e Milano. Non più periferia che chiede attenzione, ma centro attivo di partecipazione civica.
Con circa 41.000 abitanti e una delle più alte densità di edilizia pubblica in Italia, Rozzano trasforma ciò che è stato spesso letto come fragilità in risorsa. Le case ALER, i cortili, i parchi e le reti sociali diventano scenari e motori di un progetto culturale coraggioso, partecipato, trasformativo. Cultura come infrastruttura pubblica, come atto d’amore verso la città. La candidatura nasce in sinergia con il grande piano di rigenerazione “Caivano bis – Modello Rozzano”, e lo amplia: alla ricostruzione fisica si affianca una ricostruzione simbolica e culturale. Le scuole, le strade, gli impianti sportivi e gli oratori si animano di teatro, musica, arte pubblica, danza urbana, cene condivise, narrazioni popolari.
Rozzano 2028 è un progetto collettivo, metropolitano, inclusivo. Non chiede un titolo per sé: propone un metodo per l’Italia. Un modello culturale che parte dal basso, integra generazioni e origini diverse, rafforza legami, genera bellezza”.
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Soldi dimenticati, soldi buttati e soldi risparmiati (sempre di meno, purtroppo)

Foto generata dall’Ai Simone Spetia durante la rassegna stampa di Radio 24, che ascolto ogni mattina, questa volta ha superato la sua pur nota capacità di fare collegamenti tra le varie notizie della giornata comparse sui quotidiani. Stavolta ci racconta bene come “non” funziona la gestione del bene pubblico, che non è questione di destra o sinistra, ma di un’apparato dirigente e di alti funzionari dello Stato non in grado di far marciare la macchina amministrativa del Paese (o di costruire un ponte sul Naviglio o di rimettere a norma in tempo utile l’unica biblioteca civica di una città, due casi così per dire). Durante il consiglio dei ministri, infatti, la Meloni, a fronte delle richieste di soldi per una spesa o per l’altra, per un taglio da evitare o un altro da limitare, ha sbottato: ma utilizzate invece i fondi di coesione. Già, i fondi di coesione. Non voglio annoiare, ma – ricordava appunto Spetia durante la rassegna stampa – la bistrattata Europa ha assegnato all’Italia 74 miliardi di euro (settantaquattro) da spendere in otto anni. Ebbene, dopo quattro anni l’Italia è riuscita a spenderne non la metà, come sarebbe ragionevole credere, ma soltanto l’8 per cento. I ministeri chiedono soldi ma non sanno utilizzare quelli che hanno (e neppure le Regioni, in parte beneficiarie di quei fondi). Scrive infatti il Sole 24 Ore nell’articolo che potete trovare on line: il monitoraggio “fotografa la situazione dei fondi strutturali esattamente a metà del guado: al 31 agosto del 2025, quindi dopo quattro anni e mezzo e quando ne mancano quasi altrettanti alla scadenza per la rendicontazione dei pagamenti (fissata al 2029) – la spesa è ferma a poco meno di di 6 miliardi cioè l’8 per cento dei 74,8 miliardi (42,7 di risorse europee e 32,1 di cofinanziamento nazionali) disponibili in totale tra fondi Fesr, Fse+, Just transition fund e Feampa. La quota di risorse impegnate è invece pari al 27,1 per cento”.
E io pago (anzi, io soffro): va mica tanto bene, caro governo
Mentre i ministeri, gli alti funzionari, i grandi e piccoli dirigenti di Stato, di Regioni e di Comuni, non riescono a spendere, o spendono male (quando non sprecano) i soldi che hanno a disposizione, il resto del mondo, ossia le famiglie italiane faticano sempre di più ad arrivare a fine mese. Non lo sostiene qualche pericoloso comunista e non si tratta di bugie dell’opposizione. No, lo dicono i numeri, le statistiche, ossia ciò che chi governa odia di più. Infatti, leggiamo su Milano e Finanza, che solo il 41% delle famiglie italiane riesce a risparmiare qualcosa, il 5% in meno dell’indagine precedente. Insomma, ci sono meno soldi e quelli che ci sono vengono spesi tutti. Nel 2025 le famiglie che risparmiano sono il 41%, in contrazione rispetto al 46% del 2024, il dato più basso dal 2018. “E anche le aspettative per i prossimi 12 mesi indicano una ulteriore flessione della capacità di risparmio. La conseguenza di questa crescente difficoltà a risparmiare, unita a una decisa volontà di farlo anche per le famiglie in difficoltà, è che tre italiani su quattro sono in grado di affrontare spese di piccola entità (1.000 euro), ma è sempre più ridotto il numero di famiglie (36%) che può assorbire senza problemi una spesa rilevante (10.000 euro). É quanto emerge dall’indagine realizzata da Acri in collaborazione con Ipsos, in occasione della 101esima giornata mondiale del risparmio”.
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Una serata di jazz e ricordi (con Pietro Bonelli)

Pietro Bonelli (a destra) sul palco del Trani Pub Era un bel po’ di tempo che non sentivo suonare Pietro Bonelli, grande chitarrista jazz e mio maestro per diversi anni. E’ stato bello rivederlo sul palco, sentire i suoi “soli” e la capacità incredibile che ha di accompagnare. Faceva swing, l’altra sera, in quel bel locale che è il Trani Pub di Belgioioso, con il suo “Jezzz Organ Trio” (con lui Angelo Cattoni, tastiere, e Fabio Villaggi, batteria) perché ormai il jazz puro non lo suona quasi più. Un peccato, perché i miei ricordi, non solo di lui come ottimo insegnante, ma anche come autore molto originale con una tecnica al fulmicotone (allievo di quel grande didatta che è stato Daccò). Ed è un peccato, anche, che non insegni più perché proprio l’altra sera, Pietro ha dimostrato come si suona in trio, come si lavora con gli altri, come ci si tira indietro quando è il momento, e quando si entra decisi se è il caso. Come si suona, insomma, jazz puro a parte. Qualcosa da lui ho imparato. Così ieri ho ficcato le mani tra i vecchi spartiti è ho tirato fuori la trascrizione di un brano bellissimo per due ragioni. Il titolo è “Thin Send” ed è bellissimo perché Pietro lo suonava stupendamente e perché il tema era di Mario Zara, altro grandissimo musicista che purtroppo non c’è più. E così, ho suonato e risuonato quel pezzo. Ricordando.
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Consumo di suolo, Pavia messa maluccio (il nuovo rapporto Ispra 2025)

Immagine generata dall’Ai Il territorio italiano cambia ancora: nel 2024 sono stati coperti da nuove superfici artificiali quasi 84 chilometri quadrati, con un incremento del 16% rispetto all’anno precedente. Con oltre 78 km2 di consumo di suolo netto si tratta del valore più alto dell’ultimo decennio. A fronte di poco più di 5 km² restituiti alla natura, il quadro resta sbilanciato: ogni ora si perde una porzione di suolo pari a circa 10mila metri quadrati, come se dal mosaico del territorio venisse staccato un tassello dopo l’altro.
Sono i dati del Rapporto SNPA “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” di Ispra, che fotografa con precisione l’evoluzione di un fenomeno capace di incidere sulla qualità della vita, sull’ambiente e sugli ecosistemi. Il documento non si limita a registrare le criticità: emergono anche esperienze di rigenerazione e rinaturalizzazione che mostrano come invertire la rotta sia possibile.
Pavia non è messa benissimo: si piazza in 36esima posizione con un consumo di suolo in aumento nel 2024 del 9,6 per cento, comunque sotto la media lombarda, contro, va detto, il 41 per cento della provincia di Monza e Brianza. Pavia capoluogo ha un dato negativo con un consumo di suolo del 23,42 per cento. Qui sotto le tabelle di sintesi, mentre il rapporto completo è scaricabile dal sito di Ispra.

In dettaglio, al 2024 in 15 regioni risulta ormai consumato più del 5% di territorio, con massimi in Lombardia (12,22%), Veneto (11,86%) e Campania (10,61%). Il maggiore consumo di suolo annuale si osserva in Emilia-Romagna, che, con poco più di 1.000 ettari consumati (86% di tipo reversibile), è la regione con i valori più alti sia per le perdite sia per gli interventi di recupero, in Lombardia (834 ettari), Puglia (818 ettari), Sicilia (799 ettari) e Lazio (785 ettari). La crescita percentuale maggiore dell’ultimo anno è avvenuta in Sardegna (+0,83%), Abruzzo (+0,59%), Lazio (+0,56%) e Puglia (+0,52%), mentre l’Emilia-Romagna si ferma al +0,50%. Anche La Valle d’Aosta, che resta la regione con il consumo inferiore, aggiunge comunque più di 10 ettari di nuovo consumo. La Liguria (28 ettari) e il Molise (49 ettari) sono le uniche regioni, insieme alla Valle d’Aosta, con un consumo al di sotto di 50 ettari.
Pannelli fotovoltaici
Un altro dato interessante emerso dal report riguarda il consumo di suolo dovuto ai nuovi pannelli fotovoltaici, che risulta quadruplicato: si passa dai 420 ettari del 2023 a oltre 1.700 ettari del 2024 (dei quali l’80% su superfici precedentemente utilizzate ai fini agricoli) di suolo ricoperto, un aumento notevole se si considerano i 75 ettari e i 263 rilevati rispettivamente nel 2022 e nel 2023. Tra le regioni che destinano più territorio a questo tipo di impianti spiccano Lazio (443 ettari), Sardegna (293 ettari) e Sicilia (272 ettari). Passa, infine, dai 254 ettari del 2023 ai 132 ettari del 2024 la superficie destinata agli impianti fotovoltaici a terra come l’agrivoltaico che, limitando l’impatto sul suolo, non vengono considerati tra le cause di consumo.
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Pensioni, ingiustizie e polli di Trilussa

Pensionati sempre più poveri (foto generata con l’Ai) Se vogliamo avere un’ulteriore idea della (ingiusta) distribuzione del reddito, come al solito sono le statistiche e i numeri ad aiutarci, ricordando comunque che spesso molto dipende dalla loro interpretazione. Il governo, presentando la legge di bilancio, ha raccontato che tutto va bene. O almeno, meglio. Indicando alcuni numeri, dimenticandone altri. Ci ricorda Trilussa:
La Statistica
Sai ched’è la statistica? È ’na cosa
che serve pe’ fa’ un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che sposa.
Ma pe’ me la statistica curiosa
è dove c’entra la percentuale,
pe’ via che, lì, la media è sempre eguale
puro co’ la persona bisognosa.
Me spiego: da li conti che se fanno
secondo le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra ne le spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perché c’è un antro che ne magna due.Dunque, ci sarebbe da capire il destino dei polli, o almeno, di alcune loro parti. Ma dicevo dei numeri, quelli attuali. Ci aiuta l’Inps, come ricordava nei giorni scorsi un trafiletto comparso sul quotidiano Il Sole 24 ore. Ecco il testo, leggetelo e provate a indovinare le ingiustizie. O almeno, che fine hanno fatto i polli.
“L’Osservatorio Inps evidenzia che i beneficiari di prestazioni pensionistiche sono 16.305.880 (+0,5% rispetto al 2023), con una media di 1,4 pensioni a testa (il 68% percepisce una sola prestazione, il 32% due o più). L’importo medio annuo dei trattamenti pensionistici è di 15.821 euro, ma il 53,9% delle pensioni ha un importo mensile inferiore ai mille euro e sono 4.581.952 i pensionati (28,1%) con reddito al di sotto di questa soglia. Resta forte il gap di genere, considerando che le donne hanno percepito in media una pensione di 12.772 euro, contro i 19.491 euro degli uomini: i redditi pensionistici femminili sono inferiori di oltre un terzo (-34%), a causa delle carriere lavorative discontinue, e del maggior ricorso al part time (spesso involontario). Tra i diversi gruppi quello più numeroso è dei titolari di pensioni di vecchiaia, pari a 11,4 milioni di persone, di cui il 28% cumula anche trattamenti di altro tipo. Seguono i titolari di pensioni ai superstiti (4,2 milioni). I beneficiari di prestazioni assistenziali sono 3,9 milioni, tra loro il 48% è titolare anche di prestazioni diverse (indennità di accompagnamento).”
